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Il Kenya, uno dei paesi più importanti e influenti dell'Africa orientale, ha una storia che si estende per secoli. Prima dell'arrivo degli europei, il Kenya era abitato da diverse etnie, ognuna con la propria cultura e organizzazione sociale. Tuttavia, è con l'inizio dell'interesse europeo nel XIX secolo che la storia moderna del Kenya prende forma.
Prima dell'arrivo degli europei, il Kenya era abitato da diverse tribù e comunità indigene, tra cui Kikuyu, Luo, Luhya, Kalenjin e Maasai, ognuna con le proprie tradizioni culturali, economiche e politiche. Le comunità agricole, come i Kikuyu e i Luhya, erano concentrate nelle regioni montuose e fertili, mentre i Maasai, noti guerrieri e allevatori di bestiame, dominavano le pianure.
Lungo la costa, commercianti arabi e persiani avevano già stabilito importanti città portuali come Mombasa e Malindi, influenzando notevolmente la cultura e la religione locali. Il commercio di spezie, avorio e schiavi legava queste città costiere alle economie del Medio Oriente e dell'India, creando una società multiculturale.
L'interesse delle potenze europee per il Kenya iniziò a crescere intorno alla metà del XIX secolo. Gli esploratori e missionari europei iniziarono a penetrare nell'interno del paese, spinti dall'obiettivo di diffondere il cristianesimo e mettere fine al commercio di schiavi, dominato dagli arabi lungo la costa.
Nel 1885, la competizione tra le potenze europee per il controllo dell'Africa orientale si intensificò. Karl Peters, un esploratore tedesco, ricevette un mandato dalla Compagnia tedesca dell'Africa orientale, dando il via a una corsa tra le nazioni europee per stabilire colonie nella regione. Gli accordi anglo-tedeschi del 1886 segnarono un momento cruciale nella spartizione del Kenya tra le potenze coloniali: la costa settentrionale, oggi parte del Kenya, venne assegnata all'influenza britannica, mentre la fascia costiera meridionale, oggi Tanzania, fu destinata alla Germania.
Nel 1887, il Sultano di Zanzibar cedette in affitto la costa settentrionale del Kenya alla Imperial British East Africa Company (IBEAC), una compagnia commerciale britannica incaricata di amministrare la regione. Tuttavia, quando la compagnia fallì nel 1895, il governo britannico intervenne direttamente, proclamando il Kenya un protettorato sotto la Corona britannica.
Uno degli sviluppi più significativi del periodo coloniale fu la costruzione della ferrovia che collegava Mombasa a Nairobi e successivamente al lago Vittoria. Completata tra il 1896 e il 1901, questa ferrovia, nota come la "Lunatic Express", fu un progetto epocale che facilitò la penetrazione britannica nell'interno del Kenya e favorì l'insediamento dei coloni europei.
La costruzione della ferrovia portò con sé numerosi lavoratori indiani, che furono cruciali per il completamento dell'opera. Molti di questi lavoratori rimasero in Kenya dopo la conclusione dei lavori, dando vita a una significativa comunità indo-keniana che ancora oggi ha una presenza importante nel paese.
Con l'espansione della ferrovia, i coloni europei iniziarono a stabilirsi nelle fertili terre delle Highlands centrali, una regione che divenne nota come le "White Highlands". Queste terre vennero sottratte alle popolazioni africane locali e riservate esclusivamente agli insediamenti europei, alimentando tensioni che sarebbero esplose nei decenni successivi.
L'espansione britannica nel Kenya non fu accolta pacificamente dalle popolazioni locali. Diverse tribù, tra cui i Nandi, i Kikuyu e i Luo, si ribellarono contro il dominio coloniale. Una delle ribellioni più note fu quella dei Nandi, che tra il 1895 e il 1905 combatté una lunga guerra di resistenza contro i britannici. Tuttavia, come molte altre insurrezioni africane del periodo, anche questa venne duramente repressa dalle forze coloniali.
Nel frattempo, i britannici cercarono di consolidare il loro controllo amministrativo delegando alcune funzioni di governo ai capi africani, una strategia che permise la creazione di un'élite indigena favorevole agli interessi coloniali.
Con l'istituzione ufficiale della Colonia del Kenya nel 1920, i britannici intensificarono i loro sforzi per trasformare il paese in una fonte di profitto per la metropoli. Le leggi discriminavano sistematicamente le popolazioni africane, negando loro l'accesso alle terre migliori e limitando i loro diritti politici ed economici.
Tuttavia, durante questo periodo iniziò a emergere una nuova élite africana istruita, grazie alle scuole missionarie cristiane. Questa élite, composta principalmente da membri della comunità Kikuyu, cominciò a organizzarsi politicamente per chiedere maggiori diritti e rappresentanza.
Nel 1944, venne fondata la Kenya African Union (KAU), il primo movimento politico a rappresentare le aspirazioni della popolazione nera del Kenya. La KAU inizialmente chiedeva riforme moderate, ma col tempo il movimento si radicalizzò, soprattutto sotto la guida di Jomo Kenyatta, che ne divenne il leader nel 1947.
Il periodo più cruciale nella storia del Kenya coloniale fu la ribellione dei Mau Mau, un movimento insurrezionale composto principalmente da membri della tribù Kikuyu. La ribellione ebbe inizio nel 1952 e fu caratterizzata da una violenta campagna contro i coloni bianchi e le forze coloniali britanniche.
I Mau Mau, che venivano spesso descritti come terroristi dai britannici, adottarono tattiche di guerriglia per combattere contro il dominio coloniale. La ribellione ebbe un impatto profondo sul paese, poiché mise in luce la frustrazione crescente tra le popolazioni africane per la perdita delle loro terre e per l'oppressione politica ed economica.
Il governo britannico rispose con durezza, dichiarando lo stato di emergenza e arrestando migliaia di africani sospettati di essere coinvolti nel movimento Mau Mau, compreso Jomo Kenyatta, che venne imprigionato nel 1953 con l'accusa di essere il leader della ribellione.
Nonostante la repressione brutale, la ribellione dei Mau Mau rappresentò un punto di svolta nella storia del Kenya. Alla fine degli anni '50, divenne chiaro che il dominio coloniale non poteva più essere sostenuto. Nel 1960, una serie di riforme costituzionali cominciò a preparare il terreno per la decolonizzazione.
Jomo Kenyatta venne liberato nel 1961, e nel maggio del 1963, la Kenya African National Union (KANU), guidata da Kenyatta, vinse le elezioni generali. Questa vittoria elettorale segnò l'inizio dell'autogoverno africano in Kenya e aprì la strada all'indipendenza.
Il 1° giugno 1963, il Kenya ottenne l'autonomia interna, e il 12 dicembre dello stesso anno, il paese divenne ufficialmente indipendente dalla Gran Bretagna, con Jomo Kenyatta come primo ministro. Un anno dopo, nel 1964, il Kenya divenne una repubblica, con Kenyatta che assunse il ruolo di presidente.
Sotto la leadership di Jomo Kenyatta, il Kenya adottò una politica di non allineamento, mantenendo buone relazioni sia con l'Occidente che con l'Oriente durante la Guerra Fredda. Kenyatta promosse una politica economica volta a incoraggiare gli investimenti privati, soprattutto nell'agricoltura e nell'industria, distinguendosi da molte altre nazioni africane che optarono per una via più nazionalista e socialista.
Tuttavia, il governo di Kenyatta fu caratterizzato anche da un crescente autoritarismo, con la repressione delle voci dissidenti e la concentrazione del potere nelle mani di una ristretta élite politica.
Alla morte di Kenyatta nel 1978, Daniel arap Moi, suo vice, assunse la presidenza del Kenya. Nei primi anni della sua presidenza, Moi continuò le politiche di Kenyatta, mantenendo la stabilità politica ed economica del paese. Tuttavia, negli anni '80 e '90, il Kenya fu scosso da crisi economiche, corruzione e crescenti tensioni politiche.
Nel 1982, un fallito colpo di stato contro il governo di Moi portò all'introduzione di misure ancora più repressive. Il partito di Moi, la KANU, divenne l'unico partito politico legale, trasformando il Kenya in uno stato a partito unico fino all'inizio degli anni '90, quando le pressioni interne e internazionali portarono alla reintroduzione del multipartitismo.
Negli anni successivi, il Kenya ha sperimentato una graduale transizione verso la democrazia, con le elezioni multipartitiche del 2002 che portarono alla sconfitta di Moi e all'elezione di Mwai Kibaki come presidente. Da allora, il Kenya ha continuato a svilupparsi come una delle economie più dinamiche dell'Africa orientale, nonostante persistenti sfide politiche ed economiche.