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Nella remota e arida valle dello M'zab, in Algeria, si trova un'oasi di architettura e ingegneria: le cinque città fortificate mozabite. Ghardaia, Beni Isguen, Melika, Bou Noura ed El-Atteuf sorgono come sentinelle di pietra nel deserto, testimoni di una cultura millenaria e di una straordinaria capacità di adattamento all'ambiente ostile. Fondate a partire dal X secolo dai mozabiti, una comunità berbera di fede ibadita, queste città si distinguono per la loro omogeneità architettonica e il marcato carattere difensivo. Costruite su speroni rocciosi, le città fortificate mozabite sono composte da un agglomerato di case cubiche in pietra, addossate le une alle altre e disposte a forma di alveare. La moschea, cuore pulsante della vita religiosa e sociale, domina l'insediamento dalla cima della collina. Le case, semplici e funzionali, sono realizzate con una tecnica costruttiva evoluta che sfrutta le proprietà isolanti della pietra e l'ingegnoso sistema di canalizzazione dell'acqua piovana. Le facciate, prive di ornamenti superflui, riflettono la frugalità e l'austerità della cultura mozabita. La scelta di distribuire la popolazione in cinque città, anziché creare un unico centro urbano, risponde a precise esigenze di difesa e di gestione delle risorse idriche. L'acqua, preziosa in un ambiente desertico, viene convogliata in un sistema di canali sotterranei che alimenta le fontane pubbliche e irriga i giardini.
La valle dello M'zab, con le sue città fortificate, è stata dichiarata Patrimonio Mondiale dell'UNESCO nel 1982. Un riconoscimento che testimonia l'unicità di questo sito, esempio emblematico di un habitat umano perfettamente adattato all'ambiente circostante.
Le città mozabite non sono solo un capolavoro architettonico, ma anche un microcosmo di cultura e tradizione. La vita ruota attorno alla moschea, dove si svolgono le preghiere quotidiane e le principali festività religiose. L'artigianato locale, tra cui la tessitura di tappeti e la lavorazione della ceramica, rappresenta una fonte di reddito e di identità per la comunità. Le città fortificate mozabite si trovano oggi ad affrontare sfide legate all'urbanizzazione, all'emigrazione e al cambiamento climatico. Preservare questo patrimonio inestimabile richiede un impegno costante da parte della comunità locale e delle autorità.
Visitare le città mozabite significa immergersi in un'atmosfera unica, fatta di storia, cultura e spiritualità. Un viaggio alla scoperta di un popolo resiliente e della sua straordinaria capacità di plasmare il deserto in un'oasi di vita.
Il piccolo sito, che si trova a 900 m di altitudine, ospita i ruderi di quella che fu la colonia militare romana di Cuicul. Dal 1909 sono state riportate alla luce diverse costruzioni religiose e civili, in buono stato di conservazione, che mostrano ancora in certe parti i mosaici originali. Dal teatro, collocato all'esterno della cinta urbana, si gode di un'eccellente veduta dei numerosi monumenti. Il foro, che costituiva il cuore della vita sociale ed economica di Djémila, era una piazza porticata sulla quale sorgevano il Campidoglio, dedicato alla Triade capitolina, le divinità protettrici della città; il palazzo di giustizia, chiamato Basilica Giulia, un edificio rettangolare arricchito da numerose statue dedicate agli imperatori romani delle quali rimangono alcuni basamenti; il tempio di Venere Genitrice e numerose case private decorate a mosaico.
Sul foro si affacciava, in posizione elevata, il tempio della Gens Septimia, la famiglia dell'imperatore Settimio Severo. Sempre nel II secolo furono costruiti il teatro, sorto in una zona periferica, a est dell'abitato, a causa della mancanza di spazio adeguato all'interno del nucleo cittadino; le terme, a sud, costruite sotto Commodo nel 183, e una grande sala pluriabsidata ornata di un mosaico con scene dionisiache.
Patrimonio dell'Unesco si estende su una superficie di circa 80.000 kmq. II Tassili è universalmente conosciuto grazie alle sue immagini rupestri, che tuttala non sono l'unica testimonianza di quell'epoca. Esistono infatti tracce di insediamenti umani, numerosi resti di ceramiche, macine per il grano e persino tumuli, sepolture e monumenti funerari del Neolitico. Il primo periodo è quello cosiddetto dei cacciatori, o degli uomini a testa rotonda; le immagini più antiche, databili intorno al 6000 a.C, raffigurano infatti piccoli personaggi dal corpo molto semplificato e la testa rotonda con delle appendici, che probabilmente stavano a rappresentare ornamenti come corna o piume. Nella fase successiva le incisioni presentano una maggiore complessità: compaiono le prime decorazioni corporee (anelli sulle braccia e sulle gambe), le prime figure in posizione orizzontale. Nel secondo perìodo, databile intorno al 3500 a.C. circa, compaiono accanto agli animali tipici della fauna sahariana animali domestici come cavalli, bovini, capre e altri animali di piccola taglia descritti con grande realismo. Con l'età dei metalli compare un popolo guerriero e cacciatore immigrato, i Garamanti, cui si deve l'introduzione di uno stile naturalistico modificatosi poi nello stile bi-triangolare con elementi mediterranei. In epoca camelina o arabo-berbera compare nelle incisioni il dromedario con una fauna identica a quella attuale e con personaggi armati di lancia e scudo rotondo.
A tutt'oggi nel Tassili sono state catalogate più di diecimila pitture rupestri, ma con ogni probabilità il loro numero è destinato a crescere, perché la maggior parte dei luoghi più lontani dalle rotte tradizionali non è ancora stata studiata. Le dimensioni delle opere sono variabili: si va da miniature di pochi centimetri a gigantesche figure che superano i sette metri di altezza.
La città è disposta secondo l'usuale griglia dell'accampamento militare romano. La maggior parte degli edifici risale al II secolo d.C. e fra gli altri si distinguono il teatro (161-169 d.C), l'arco di Traiano, il Capitolium, alcune vaste terme, la biblioteca pubblica, il foro e il mercato di Sertius. Il tracciato urbano della città si rifaceva ai canoni classici dell'Ellenismo: una grande via in direzione est-ovest (decumano) si incrociava con un'altra grande via diretta da nord a sud (cardo); entrambe si allargavano nel punto di intersezione per lasciare spazio al foro, agli edifici civili, a un teatro e a un piccolo tempio. Quanto alle dimensioni delle diverse case, era stato disposto che l'altezza massima non potesse superare il doppio della larghezza della strada, in modo che nessuna di esse togliesse il sole a quelle poste di fronte. A Timgad non fu edificato un tempio di grandi dimensioni, come nelle altre città romane, bensì un tempio di dimensioni ridotte, con una facciata di 8 metri in cui, invece della scalinata di accesso, si trovava un podio per gli oratori, da cui i personaggi più importanti della città potevano rivolgersi ai concittadini. Il tempio vero e proprio, il Campidoglio, fu innalzato più tardi al di fuori della cinta muraria e venne dedicato a Giove, Minerva e Giunone.
L'edificio più interessante del parco archeologico è l'anfiteatro, la cui originalità si deve alla sua tardiva edificazione, che si è prolungata fino al III secolo. Più piccolo e più antico è il teatro, di cui rimangono le tre gradinate inferiori separate dall'orchestra da una balaustra di mattoni molto rovinata, oltre la quale si ammirano le rovine della scena dove avvenivano le rappresentazioni. Il foro di Tipasa, discretamente conservato, è una spianata lastricata di 50 metri di lunghezza per 20 di larghezza, un tempo utilizzata come luogo di incontro per gli abitanti della città. Tra il foro e il mare si trovava il Campidoglio, di cui rimangono solo alcuni capitelli e resti delle fondamenta. Adiacente al foro è la basilica, grande edificio di ispirazione ellenistica composto da tre navate scandite da due file di colonne. Ricordiamo infine le grandi terme, un imponente edificio costruito con blocchi di pietra alternati a file di mattoni, e la Villa degli Affreschi, un magnifico esempio di casa patrizia romana. Anche il cristianesimo ha lasciato importanti tracce nella città.