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La storia dell'Algeria ebbe inizio con l'arrivo dei fenici, che alla fine del II secolo a.C. fondarono sulla costa insediamenti commerciali e scali marittimi. Anche i cartaginesi, subentrati ai fenici, non colonizzarono l'interno abitato da tribù di numidi, getuli e mauri, ma moltiplicarono i centri commerciali portuali, stabilendo rapporti con le tribù berbere che fornivano loro contingenti armati - in particolare i famosi cavalieri numidi - ed elefanti da guerra. Grazie a queste relazioni, la lingua e la civiltà punica penetrarono assai profondamente in Algeria e Cartagine esercitò una sorta di protettorato sul regno di Numidia.
All'influenza cartaginese si sostituì poi quella romana, ben più vasta e profonda: nel 46-44 a.C. il regno di Numidia divenne una provincia di Roma. Mentre il nomadismo fu respinto a sud, tutta la zona situata a nord del limes romano fu colonizzata ed ebbe popolazione stabile: la pratica dell'irrigazione introdotta da coloni permise lo sviluppo delle piantagioni di olivi e viti, delle colture cerealicole e dell'allevamento. La civilizzazione romana, tuttavia non toccò le tribù montane: la Cabilia e l'Aurès furono per secoli, anche durante l'occupazione vandala (sec. IV d.C.) e bizantina (sec. VI), le roccaforti del particolarismo berbero.
Nel VII secolo ai bizantini succedettero gli arabi, che dovettero superare la tenace resistenza delle tribù berbere, in continua rivolta. In una situazione i cui sviluppi politici, spesso coperti da motivazioni religiose, non permisero il raggiungimento dell'unità del paese (solo sotto gli almohadi, tra XII e XIII sec, si creò un'unica realtà politica, che si estendeva dal Marocco alla Libia), le città costiere trovarono l'opportunità di erigersi in repubbliche indipendenti, mentre all'interno si affermavano principati locali. Questo stato di frazionamento durò fino agli inizi del XVI secolo, quando gli spagnoli si spinsero fin sulla costa algerina. Per salvaguardarsi dal pericolo cristiano, gli algerini chiesero allora l'aiuto dei corsari turchi, che, sotto Khair Ad-Dim, il Barbarossa, nel 1518 posero l'Algeria sotto la sovranità del sultano ottomano di Costantinopoli: nasceva così la prima realtà politica assai vicina a quella attuale.
La dominazione francese ebbe, per gran parte del XIX secolo, carattere militare e fu esercitata direttamente dalla metropoli attraverso un governatore generale residente ad Algeri. Centinaia di migliaia furono i coloni, soprattutto contadini del sudest della Francia, che si trasferirono in Algeria attirati dalla concessione gratuita di appezzamenti di terreno. I 700 villaggi che vennero fondati modificarono la fisionomia delle campagne, dove gli agglomerati rurali, tranne che in Cabilia, erano molto rari. Una serie di leggi sottometteva le proprietà indigene al diritto francese, permettendo l'appropriazione dei beni habous (di antico uso collettivo) da parte del demanio statale, l'esproprio massiccio di terre appartenenti alle tribù o ai singoli, lo sgretolamento delle proprietà indivise e la loro acquisizione da parte degli europei. Nel 1934 i coloni disponevano di un quarto del territorio coltivato era concentrato nelle mani del 2% della popolazione agricola. In seguito alla colonizzazione non solo si svilupparono le tradizionali colture, come quella del grano, ma ne vennero introdotte delle nuove, adatte per l'esportazione: il Tell si ricoprì di vigneti e il vino divenne la principale fonte di entrate del paese. Parallelamente si ebbe anche una fortissima crescita urbana. Le città, centri amministrativi più che economici, attirarono, oltre che funzionali e commercianti francesi, stranieri di tutte le nazionalità. Oltre alle migliori terre, finirono nelle mani dei coloni anche commercio, navigazione, trasporti, banche, industrie, mentre la popolazione indigena rimase confinata ai margini del progresso che investì il paese. Nonostante queste condizioni discriminatorie, lo sviluppo economico, civile e culturale finì tuttavia con il coinvolgere anche l'ambiente indigeno e, agli inizi del secolo XIX, fra gli algerini cominciarono a prodursi fermenti emancipatori e riformatori. Ma il vero risveglio nazionale si ebbe soprattutto a partire dalla seconda guerra mondiale e nel 1954 il movimento per l'indipendenza entrò nella fase della lotta armata. Il Fronte di Liberazione Nazionale (FLN) riuscì a trasformare la guerriglia in una guerra popolare e di massa, grazie al suo prestigio politico e alle rappresaglie feroci dell'esercito francese, che coinvolsero anche gran parte della popolazione civile (battaglia di Algeri, settembre 1957), suscitando vaste ondate di proteste da parte dell'opinione pubblica mondiale. Il conflitto si concluse nel 1962 e il 1° luglio dello stesso anno l'Algeria divenne indipendente: secondo la Costituzione del 1963, è una Repubblica popolare e democratica. All'indomani della vittoria, una grave crisi scosse il movimento nazionalista: risolta in parte con l'ascesa al potere di Ben Bella - prestigioso dirigente dell'FLN - apparve sostanzialmente superata, quando, nel 1965, un colpo di Stato militare rimpiazzò Ben Bella con un Consiglio della Rivoluzione, il «supremo corpo politico» dopo la sospensione della Costituzione del '63, di cui era presidente il colonnello Boumedienne, che controllava nello stesso tempo lo Stato (era Presidente della Repubblica e primo ministro) e il partito (l'FLN, la sola forza politica riconosciuta). Gli anni Settanta hanno visto la situazione interna algerina attanagliata da gravi problemi politici, economici e sociali, il cui superamento si presentava veramente difficile. Una nuova Costituzione, varata nel 1989, modificava radicalmente l'impostazione socialista della precedente del 1986 e apriva la strada al multipartismo e alla liberalizzazione economica. Questa svolta, gestita da Chadli Bendsadid, eletto Presidente della Repubblica nel 1979 e riconfermato nel 1984 e nel 1989, aveva come scopo quello di aprire il paese all'influenza tonificante dei capitali stranieri, pur mantenendo politicamente l'Algeria in una posizione di non allineamento. Fra i numerosi problemi che il governo di Algeri deve affrontare all'inizio degli anni Novanta emerge in maniera inquietante il risveglio del fondamentalismo islamico che minaccia gravemente il mantenimento dell'ordine interno. Grazie a una politica di riconciliazione nazionale l'ex presidente Ben Bella ha potuto rientrare in patria dopo 15 anni di detenzione e nove di esilio.